Nel suo personale ed originale cammino, artistico ed umano, in controllato bilico tra razionalità e liberatori voli di fantasia ed emozionalità, Rosanna Di Marino con la mostra “II mio e il tuo sentire” ha toccato una tappa significativa di svolta e di conquista. Apparentemente il linguaggio di questi dipinti è distinto e lontano da quello dei primi passi di magmatica maturazione, in cui i dipinti emergevano come “pittopensieri “suggeriti da un cuore in fermento e da una forte e difficoltosa ricerca di identità personale e sociale. Dominava il figurativo simbolico, intrecciato di forme pastellate e immagini dal vero, con “lampi” di luce e uccelli volanti verso le non irraggiungibili utopie del Paradiso della Libertà. Ora, invece, il figurativo è decisamente in secondo piano, mentre la parola e l’emozione vengono affidati a giochi di materia e di colore, in una contrapposizione ideale tra chiaro e scuro, stacchi e collegamenti, scenari notturni e splendori solari. Una dimensione in cui dobbiamo necessariamente aggiungere il “nostro” sentire al “mio e al tuo” dichiarati dalla Di Marino. Il rapporto tra lo spettatore e le sue figure è cambiato, ma non rivoluzionato, rispetto alla prima fase. Ancora una volta il sentire non può, e non deve, essere disgiunto dal capire. Fermo restando che in alcuni di questi dipinti la Di Marino sembra aver finalmente toccato momenti di libero volo del colore (e dell’anima) senza il condizionamento decisivo della forma e della razionalità, si nota che anche questi sono “pittopensieri”. Anche in questi, il riferimento è dato dalle forme, sia pur latenti, dalle geometrie, sia pur limitate, e da una pigmentazione razionale alla quale non può rinunciare chi vuole che la sua identità più avanzata sia quella di un gabbiano con le zampe sfioranti la terra. Queste opere richiamano le fasi precedenti non solo con la plurimaterialità, ma anche con la presenza degli articoli di giornale, che una volta dominavano ed ora invece sono appena affioranti sotto la pelle del quadro, ad indicare che l’io non è mai disgiunto dal noi…. Anzi, in questo caso il primo riferimento esterno è racchiuso nel “tuo” del titolo. A chi appartenga questo tuo è chiarito subito dalla coppia di quadri di apertura della mostra, che non solo evidenzia come tutte le opere siano pagine di un unico libro in stretto rapporto tra loro, ma ci lancia davanti agli occhi muri e ponti dell’eterno rapporto tra il femminile e il maschile. Visto dalla parte del femminile, però, e di chi vuole scavare fino in fondo nella ricerca della personale femminilità, ma sapendo che deve fare i conti col maschile che la intride da tutte le parti. Le due figure iniziali, le uniche figurative, chiariscono suggestivamente l’assunto: il volto di donna è illuminato dal colore degli occhi e dalla tenerezza dell’anima e leggermente oscurato dal grigiore o dall’indifferenziato che la circonda, il volto dell’uomo è più duro e non ha colore “dentro”: lo assume solo dall’esterno, attraverso schizzi e pennellate che lo avvolgono, ma forse non lo impregnano. Diversamente impostati, i due volti sono due mondi, eppure accoppiati tra asimmetrie e simmetrie. Ma il colore più intimo ed avvolgente viene dal sentire di lei, quando riesce a mostrarlo ed a condividerlo. Difficile pensare a quadri “singoli”, con queste premesse. E non a caso l’interno della mostra procede per trittici e tetrastici: le forme sono stemperate nel gioco e nei simboli del colore, ma il messaggio a questo punto diventa fermo e costante. Ora incontriamo il femminile che si fonde, separandosi, in una sovrapposizione di tasselli materici, ora lo vediamo letteralmente “camminare”nei quattro quadri delle orme dall’inferno. Nell’indistinto informale si distinguono appunto due orme, una femminile ed una maschile, che avanzano in una serie di colori inizialmente dominati dalla notte del nero e poi sempre più vividi, fino a conquistare nei gialli e nei rossi una solarità volante, apparentemente senza confini. Le conquiste di una coppia? Forse, ma certamente, sembra dire la Di Marino, con il colore del “mio” sentire di me donna. Infatti anche questa è una tappa del cammino, come emerge nettamente dalle evoluzioni in scuro chiaro di un altro tetrastico, dove la spirale emerge dalla notte per conquistare il giallo rosso di una sua solarità. Stavolta senza il sentire di altro. Alla fine del discorso rimane l’impressione proprio di quella spirale solare, vibrante di tutte le vibrazioni eppure ben imbozzolata nella sua stessa e complessa spiralità, in uno spazio pur sempre definito. Una suggestiva dimensione di conquista, forse l’attesa di un nuovo volo. Forse, in quella spirale si concentra il cuore di un cammino circolare: il mio, il tuo, il nostro, il mio. Ma che differenza tra il primo ed il secondo “mio”! Quella tra un sospiro di sollievo e l’energia verso nuovi e più definitivi voli di identità. Forse, il Paradiso può attendere, ma gli spicchi di luce oramai non si fanno più attendere…
Franco Bruno Vitolo – Docente, Giornalista e Critico d’Arte.