“I grandi artisti non vanno a ricercare le loro forme nella nebbia del passato, ma ccolgono le risonanze più profonde dal vivo e reale centro di gravità della loro epoca.”
Franz Marc
Uno sguardo attento sul mondo artistico contemporaneo ci rende consapevoli che gli artisti di oggi, più che un generale pensiero sull’arte, più che la ricerca di un linguaggio idoneo a esprimersi – quello che una volta veniva chiamato visione del mondo – sembrano essere preoccupati di dire la loro pur senza adeguarsi a un rigore tecnico o formale, che una volta veniva riconosciuto come il contrassegno dell’appartenenza a un gruppo, a un movimento o a un’esperienza artistica. C’è una generazione di nuovi artisti, anche nelle nostre terre, che sta operando giorno per giorno in una realtà sempre più difficile, mossa dal provvisorio e dalla crisi, in tutti i sensi intesa. La conseguenza del loro operare in siffatto mondo, in cui ogni sorta di accadimenti si susseguono con fulminea rapidità senza lasciarci né appigli né certezze, è l’affermazione di un’arte viva, intesa come esperienza che esprime il vissuto, non più solo il rappresentato; un’arte che aspira a vivere. non a vedere. A questa generazione di artisti contemporanei appartiene Rosanna Di Marino, non saprei dire se architetto prestata alla pittura o pittrice prestata all’architettura, offrendosi a noi in questo suggestivo percorso espositivo, esistenziale direi, che ci impone di riflettere sul mondo profondo degli affetti e delle relazioni, sul luogo dell’ideale incontro fra il maschile e il femminile, sul terreno arduo delle intese e dei contrasti intimi, sul ciclo dei nostri desideri e sulla terra dei nostri bisogni più concreti, un percorso tra l’inferno e il paradiso dei sentimenti. Sicuramente la Di Marino in questo itinerario pictus non vuole offrirci nessuna visone del mondo universale e oggettiva, né tanto meno vuole avere la pretesa di cambiare il mondo, intenzione così cara alle avanguardie storiche degli inizi del Novecento; ma sicuramente ci offre la sua libera e profonda soggettività che tenta di dire sé stessa nell’arduo mondo delle cose dell’arte, nel bosco oscuro della sopravvivenza quotidiana. Le opere sono di formato relativamente grande, ampie, fruibili, comprensibili pur senza rischiare la banalità o la retorica, trattando argomenti delicati, usati e abusati come i sentimenti e il sentire. Proprio per questo le tele non sono più tali, ossia non sono più luogo della rappresentazione ma lo spazio vitale dell’azione umana, della Di Marino prima e nostra dopo. La stessa materia cromatica impastata con sabbia, pietre e sostanze terrose diventa lo strumento con cui il pittore agisce e non solo il linguaggio con cui si esprime. La superficie diventa il luogo dell’azione, il campo dove la vita agisce, il talamo dove le opposte polarità del maschile e del femminile diventano due facce della stessa medaglia. Non sempre il figurativo prevale, anzi direi che la Di Marino qui compie una consistente virata verso la rotta del non figurativo, attratta come è sempre stata, in fondo, dai linguaggi nuovi del contemporaneo, pur essendo ferma proprietaria e padrona delle tecniche espressive tradizionali. Il suo espressionismo sembra raggiungere l’astrazione in alcuni casi, rafforzandosi nell’imponente gesto pittorico intuibile dalla notevole materia cromatica. La materia della sua pittura, come i contenuti del suo sentire si trasformano come per incanto in una composizione astratta, fermo restando, qua e là, l’insistenza su forme del mondo riconoscibili, come un viso maschile e uno femminile, delle impronte di piedi, il segno delle dita nel magma del colore.Forme che assumono quasi il ruolo di simboli, immagini di un inconscio ribollente, di una spiritualità tesa e forte, tutta femminile. Una spiritualità che si manifesta quando la conoscenza razionale e l’esperienza-nel-mondo hanno raggiunto le colonne d’Ercole dei propri limiti materiali e sensoriali, rivelandosi a noi nella simbolica delle forme e del colore. La caratteristica femminile di questa spiritualità non è un riferimento frutto del caso. Credo che per troppo tempo la Storia dell’ Arte ufficiale sia stata declinata al maschile. Questo evento espositivo ci offre una preziosa occasione di riscattare il sessismo della storiografia, soprattutto oggi che i riferimenti al femminile da parte del potere imperante sembrano prediligere figure di veline, letterine o peggio ancora di escort! Qui invece una donna (pittrice) riesce ad appropriarsi della propria sensibilità, dovrei dire del proprio animus, lasciandosi fecondare nel carattere e nella personalità da vero artista. Il risultato delle opere di Rosanna Di Marino è la consapevole conciliazione tra la sua realtà interiore e la realtà del mondo e della natura. Nonché la riconciliazione, che spesso sfugge alle filosofie e persino alle religioni talvolta, fra corpo e anima, fra materia e spirito, fra maschile e femminile. Il dualismo è finalmente vinto. Solo l’arte può osare fino a tanto!
Alfonso Di Muro – Docente e Storico d’Arte.